Premesse
Nell’articolo Cos’è l’analisi transazionale abbiamo visto che Il Genitore normativo rappresenta l’insieme di insegnamenti, norme, valori e regole (mappe) interiorizzate durante l’infanzia da figure genitoriali (genitori, insegnanti o altri adulti significativi), in merito a ciò che è giusto e sbagliato, utile o dannoso per sé stessi e per le altre persone.
Inoltre, nell’articolo Cos’è il Bambino non OK abbiamo visto che quando il bambino non si comporta secondo le attese delle figure genitoriali (non è “ubbidiente”) viene rimproverato o punito.
Infine, nell’articolo Evitare i rimproveri che guardano indietro abbiamo visto che, se il rimprovero giudica il bambino e non il gesto che ha compiuto, trasmette -oltre all’insegnamento- anche il messaggio “c’è qualcosa di sbagliato in te” (ovvero: sei “non-ok”). Per dirla come nel film “Inside Out”, l’insegnamento viene memorizzato con il “colore” del disagio dovuto all’essere inadeguati.
La sintesi di tutto ciò è che, quando da adulti, commettiamo un errore, o ci accingiamo a compiere un’attività dall’esito incerto, o dobbiamo parlare in pubblico, nella nostra mente risuona una voce che ci ricorda quanto siamo stati inadeguati.
Cos’è il giudice interiore
Con “giudice interiore” facciamo riferimento alla capacità di valutare le proprie azioni, pensieri e sentimenti attraverso un processo di auto-riflessione e auto-valutazione. Ognuno di noi possiede una sorta di “voce interiore” che, sulla base delle mappe acquisite nello stato Genitore normativo, ci aiuta a discernere tra ciò che è giusto e sbagliato, ciò che possiamo o non possiamo fare, ciò che, voglia o no, dobbiamo fare. In ambito religioso viene definito “coscienza”.
Il problema del giudice interiore è che agisce nella nostra mente con l’autorità e il tono di un genitore verso un bambino piccolo, che non esita ad interviene per giudicare -e, quando “guarda indietro”, a colpevolizzarci- per ogni comportamento che valuti inadatto (e, dato che il dialogo è nella nostra mente, anche per ogni pensiero che valuti inadatto).
Tenere a bada il giudice interiore
Poiché risiedono nello stato dell’io Genitore, i giudizi del Giudice interiore sono immutabili, ma noi invece non lo siamo. Si tratta allora di cambiare il punto di vista autolimitante «io sono fatto così (e sempre lo sarò)» a: «finora mi sono comportato così». Ecco alcune tracce per il cambiamento:
- Evitare di accollarsi etichette troppo precise, definitive e soprattutto auto-limitanti: sono stonato, sono timido, non sono portato per la matematica, è sempre stato così e sarà sempre così. Le profezie si auto-avverano e le etichette sono profezie. (per un approfondimento vedi il “capitolo 4 – Liberarsi del passato” nel libro “le vostre zone erronee” di Wayne W. Dyer).
- Togliere dal proprio vocabolario i termini: sempre, mai, tutti, nessuno.
Esempi:- «sono sempre in ritardo» –> «oggi sono in ritardo, non è la prima volta, cosa posso fare per…»;
- «nessuno fa mai caso a me» –> «cosa posso fare per rendermi utile?».
- Non denigrarsi quando si commette un errore: «Ecco, sono il solito stupido…», «Sono un fallito…». Anche queste sono etichette, e questo è esattamente il modo con cui si esprime il giudice interiore che vogliamo tenere a bada. Invece, se vogliamo il rispetto delle altre persone, dobbiamo essere noi i primi a portarci rispetto, anche nel dialogo interiore.
- Considerare gli errori come occasioni per imparare (oppure come gli strati grigi: vanno integrati). Dopo un errore, non siamo al punto di partenza: abbiamo capito come NON va fatta una certa cosa, siamo cresciuti (leggere come la pensavano in merito Thomas Alva Edison oppure Confucio.
- Non farsi bloccare dal cattivo esito di esperienze passate: dopo aver fallito il tentativo di raggiungere una vetta, un alpinista si rivolse alla montagna dicendo: «Tu non puoi diventare più grande, ma io sì» (vedi anche il racconto dell’elefantino incatenato nel libro “Lascia che ti racconti” di Jorge Bucay; la storia è riportata anche su Google Libri: clicca qui, poi su anteprima libro e poi scorri le pagine oltre il Prologo).
- Accettare di correre qualche rischio (escludendo i rischi per l’incolumità fisica), senza dare troppo credito alla voce interiore che ci dice: “non ce la farai”: a questo proposito, non so se conosci la storia de “La Rana sorda”: si tratta una fiaba popolare americana del XIX secolo, spesso utilizzata per insegnare l’importanza di non farsi influenzare dalle critiche negative e di perseverare nei propri sforzi nonostante gli ostacoli. In internet ho trovato qui una versione della storia.